Tunisia: c’è mai stata una primavera araba?

Sono passati più di tre anni da quando, dalla Tunisia, sono partite le prime rivolte [1] che hanno sovvertito molti governi dei paesi arabi del Mediterraneo; l’entusiasmo di chi aveva creduto nella natura esclusivamente popolare delle ribellioni [2] si è dovuto però scontrare con una riflessione geopolitica che ha lasciato intravedere uno scenario molto meno ingenuo. Se è indubbio che le rivolte siano nate da un malcontento sociale da tempo non più celabile, il fatto che esse non abbiano subito la stessa dura azione repressiva esercitata in altri casi simili [3] lascia scorgere ipotesi sconcertanti: come è possibile che la collaudata ed efficientissima macchina della repressione censoria abbia avuto una falla tale da permettere che le notizie si diramassero attraverso i network dando alle persone il tempo e lo spazio per organizzare la rivolta? Sotto la spinta dell’entusiasmo questa domanda è rimase elusa e i tunisini festeggiarono la fine di un’epoca truce certi di poter ricostruire un paese più equo secondo un principio di autodeterminazione. Ma le storie, da molto tempo ormai, si giocano su scala globale e le scelte locali, soprattutto di paesi non appartenenti all’asse euroamericano (e ai loro alleati), soprattutto quando depongono un capo di stato, non possono prescindere da interessi più vasti. Questo articolo, ricostruendo alcuni degli avvenimenti degli ultimi anni, si concentra, e si interroga, sul modo in cui è stata gestita in Tunisia la costruzione dell’arena entro cui si sono sfidate le forze politiche e partitiche del paese.


Dopo che, il 14 gennaio 2011, Zine El-Abidine Ben Ali ebbe abbandonato il paese [4] il primo ministro Mohamed Ghannouchi annunciò, in ottemperanza all’articolo 56 della costituzione tunisina [5], che avrebbe assunto temporaneamente le funzioni di capo dello stato e già dal giorno successivo, il 15 gennaio, il presidente della Corte costituzionale, in adempimento all’articolo 57 della costituzione, assegnò le prerogative di capo dello stato al presidente della camera dei deputati, Fuad Mebazaâ, che, secondo i dettami costituzionali, avrebbe mantenuto la carica per un massimo di 60 giorni entro i quali si sarebbero dovute organizzare elezioni presidenziali [6] e che, invece, restò fino a dicembre. A lui, con le elezioni del 23 novembre, è succeduto, dall’11 dicembre, Moncef Marzouki che sta concorrendo nuovamente in questi giorni [7] alla presidenza insieme a Beji Caïd Essebsi, figura fondamentale di questi anni. Il 27 febbraio 2011, infatti, Mohamed Gannouchi aveva ratificato le proprie dimissioni da primo ministro lasciando la poltrona a Beji Caïd Essebsi, il cui nome era meno legato all’entourage di Ben Alì e riconduceva direttamente all’epoca di Bourghiba [8], di cui era stato consigliere e sotto il quale aveva ricoperto importanti incarichi istituzionali [9]. L’età avanzata di Essebsi aveva tranquillizzato un po’ tutti perché nessuno riteneva un uomo così vecchio realmente intenzionato a intraprendere una nuova carriera politica né, tantomeno, era reputato capace di giocare un ruolo decisivo nell’organizzazione dei poteri istituzionali.

 

Tunisia_elezioni_ foto Xinhua
Tunisia elezioni

 

Al contempo, però, gli si riconosceva ancora un’autorità pubblica tale da presentarsi ai tunisini come un referente politico serio che, ricongiungendosi direttamente a Bourghiba, in qualche modo circoscriveva l’esperienza dittatoriale di Ben Alì. Lasciando sconcertati i suoi primi sostenitori, invece, dopo aver concluso l’esperienza di primo ministro [10], Essebsi fondò Ḥaraka NidāʾTūnus (“Appello della Tunisia”), la cui istituzione fu annunciata il 16 giugno 2012 in occasione di una grande manifestazione tenutasi al Palazzo dei congressi di Tunisi.

 

L’importante riconoscimento ottenuto fin da subito dal partito era dovuto sia alla figura carismatica di Essebsi sia al fatto che tale formazione avrebbe potuto rappresentare il bilanciamento politico all’avanzata delle forze islamiche nel paese, la cui pregnanza sulla società aveva subito già una forte scossa dal giorno dell’omicidio di Shukrī Belʿīd, il 6 febbraio 2012 [11].

 

Prima delle proprie dimissioni da primo ministro Mohamed Gannouchi, il 15 marzo 2011, aveva sostituito l’Haietu thkik adhaf at-thawra (“Commissione per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione”, nata il 17 gennaio da un accordo partitico per assicurare alla Tunisia una transizione verso la democrazia) con un organo istituzionale di maggior prestigio e riconoscibilità: Haietu al-uly alithkik adhaf at-thawra (“Alta commissione per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”) confermandone la presidenza al già leader della prima commissione Yadith ben Achur, giurista che rappresentava una figura di spicco nel panorama giuridico-culturale tunisino (era stato preside della facoltà di giurisprudenza di Tunisi e proveniva da un’aristocratica famiglia di insigni studiosi di diritto, il cui nonno era gran Muftì a capo della corrente riformista della Zitouna [12]). La scelta di un uomo di questo calibro dovette essere accettata da tutte le parti in causa, anche se la commissione non riuscì sempre a mediare bene tra le varie forze politiche.

Va osservato che la prima commissione e, soprattutto, l’alta commissione, hanno inibito molti tentativi di democratizzazione nati dal basso spesso vincolandoli a sé. I comitati di quartiere, per esempio, vennero deprivati del proprio ruolo trasferendo sul piano politico e istituzionale la lotta di strada. Essi, esautorati dalla funzione iniziale, furono riutilizzati, attraverso i medesimi canali, anche per la propaganda partitica e associazionistica poiché subirono una forte infiltrazione da parte di gruppi di islamisti e di membri del partito di Ben Alì (Rcd).

 

Di conseguenza, le retoriche che inizialmente avevano caratterizzato il dibattito politico sono via via mutate chiarendo sempre meglio quali fossero i reali contorni della Tunisia post regime: da una fase in cui il futuro era rappresentato – dalla stampa locale, nelle piazze, sui social networks – come lo spazio della progettazione, della fantasia, della possibilità

 

(uno spazio e un tempo caratterizzati dalla capacità di avere aspirazione [13], in cui la governance dal basso si presentava come controgovernamentalità [14]), a un’arena in cui vecchi dissidenti e nuovi pentiti di Rcd, con la costruzione delle loro relazioni implicite ed esplicitate, all’interno del paese così come all’esterno, hanno giocato la partita del riconoscimento-risarcimento. Seguendo tale doppio binario, infatti, molti gruppi si sono affacciati alla vita politica del paese rivendicando il proprio spazio a prescindere dai motivi per i quali erano stati messi al bando; tra questi, gli islamici e anche gli esponenti della classe capitalistica e dei gruppi di sinistra. L’ affermazione sociale di ognuno di questi attori, tutti vittime di un potere precedente, è passata attraverso la rivendicazione del potere stesso e i rapporti intessuti con le grandi potenze economiche e politiche spesso sono state l’arena in cui si è giocata la ricostruzione.

Le posizioni dominanti erano due: una, sostenuta dalle forze della sinistra, era favorevole alla formazione di un’assemblea costituente; la seconda, sostenuta da altre forze, soprattutto quella islamista, voleva andare direttamente alle elezioni parlamentari. Per quanto non mancassero i media che seguivano gli avvenimenti in modo critico e lo spazio di discussione fosse aperto a tutti gli esponenti politici, molta gente aveva ugualmente difficoltà a passare da una fase fattiva, in cui avvertiva sia di avere un senso di “appartenenza” alla comunità sia di essere dotato di un ruolo attivo nella determinazione della storia del paese, a una fase basata sulla retorica della ricostruzione istituzionale in nome dello stato. In questo contesto, il sistema dei partiti riveste un ruolo “autoreferenziale” in quanto essi tentano di funzionare come fonte della propria legittimazione e riproduzione (Zolo, 2010 [15]) mentre non riescono a creare rete con il resto del paese. Forse può considerarsi eccezione un solo episodio: i partiti della sinistra e il sindacato (Ugtt), nello stesso periodo, investirono le proprie energie per sostenere, pubblicamente, il secondo sit-in della Kasbah (4 marzo), che mirava a ottenere la nascita di una Mejli thesisi (“assemblea costituente”) affinché fosse redatta una nuova costituzione che normasse anche le elezioni. Il grande limite di queste forze politiche germogliate soprattutto all’interno delle università, però, è quello di non riuscire a sganciarsi dalle logiche di protesta locali, che avevano caratterizzato gli anni precedenti, proponendo una politica di più ampio respiro e, soprattutto, progettuale.

 

Tunisians carry the coffin of Chokri Belaid during his funeral procession in Tunis
Funerali di Chokri Belaid

Pur tuttavia, le pressioni esercitate durante questo secondo sit-in costringono il primo ministro Essebsi a calendarizzare le elezioni per l’assemblea costituente e a mettere in moto la relativa macchina organizzativa. A livello partitico, a ogni buon conto, Ennadha (Ḥarakat al-Nahḍa in arabo) era l’unico che riuscisse a proporre una politica di aiuti che avesse presa sulla fascia debole della popolazione. Appoggiato dal Qatar, già finanziatore di al-Iḫwān al-Muslimūn (Fratelli musulmani), infatti, aveva risorse sufficienti per promuovere politiche sociali volte alle fasce più deboli della popolazione, soprattutto delle campagne, che erano anche quelle meno coinvolte nelle discussioni attorno alla riorganizzazione politica del paese.La presenza di forze politiche musulmane all’interno della Tunisia non è una novità, ma essa era stata duramente repressa dal regime e, dopo il 1991, lo stesso fondatore di Ennadha, Rāshid Gannūschī, si era allontanato rifugiandosi in Inghilterra dove, rinnegate le politiche della violenza, aveva ricostruito la propria immagine di promotore di un islam moderato.

 

In Tunisia, dunque, Ben Alì si presentava all’Occidente come il protettore dei valori laici contro la minaccia islamista, terrorista, salafita.

 

Frattanto, però, gli eventi a cavallo tra il primo e il secondo millennio, il cui apice si toccò l’11 settembre del 2001, avevano indotto i think tank americani, fin dal 2002, a riscrivere la retorica politica occidentale sull’islam prospettando, come soluzione all’estremismo islamico, la costruzione di uno spazio legittimato in cui l’islam politico si delineasse come alternativa, dal maggiore consenso popolare, ai governi autocrati [16]. D’altronde questo tipo di strategia non era nuovo: anche gli inglesi, intorno agli anni Trenta del secolo scorso avevano favorito al-Iḫwān al-Muslimūn in Egitto per creare fratture sociali che giustificassero l’intervento coercitivo della potenza coloniale nel paese all’interno della società. La stessa cosa era successa, in anni più recenti, anche in Palestina, che era stata una delle terre più laiche del medio Oriente fino a quando, nel 1987, non si è infiltrata Hamas, con la sua azione terroristica, la cui costituzione fu sostenuta economicamente proprio dal Mossad allo scopo di creare tensioni interne al fronte per la liberazione palestinese con gravi ripercussioni sull’opinione pubblica mondiale, anche grazie alla stampa mainstream [17]. I think tank americani, dunque, avevano agito secondo la stessa tecnica: stretta l’alleanza con nuovo soggetto politico, il modo migliore per legittimarne la presenza era quello di renderlo promotore di istanze che gli assicurassero un riconoscimento popolare, cosa resa possibile anche grazie ai grandi finanziamenti che i movimenti islamici in nord Africa ricevevano.

La forza acquisita da Ennadha ovviamente era spendibile sul piano della contrattazione dell’organizzazione dell’assemblea costituente su cui non si trovava un accordo. Secondo alcuni, sarebbe dovuta rimanere attiva per un anno ma, secondo Ennadha, avrebbe dovuto rimanere in carica per tutto il tempo necessario alla redazione della costituzione [18]. La propaganda [19] di Ennadha è stata talmente capillare da destrutturare molte delle resistenze: il partito si proponeva come il martire del regime; come l’unica forza che poteva rivendicare la totale estraneità alla dittatura di Ben Alì, al contrario della sinistra che, proprio contro Ennadha, aveva trovato con lui un punto di convergenza; come forza capace, grazie alle ingenti risorse a disposizione, di attivare un importante ammortizzatore sociale secondo canali di prossimità simili a quelli di tipo familistico o di vicinato. Feste di matrimonio, feste di circoncisioni, cibi per il ramadan: gli islamisti di Ennadha sovvenzionavano, ai più indigenti, moltissime celebrazioni rituali [20]; in più assicuravano che, una volta al governo, avrebbero avuto risorse sufficienti a creare cinquecentomila nuovi posti di lavoro [21].

 

Ennadha, inoltre, aveva lasciato grande libertà di movimento ai Salafiti che in Tunisia non erano numerosi ma molto attivi: presentandosi come i paladini della lotta alla corruzione (anche morale), si sono scagliati anche contro molte delle istallazioni artistiche e delle produzioni cinematografiche che, in gran numero, sono state realizzate dopo il regime, ma rispetto alle quali una gran parte del pubblico, poco avvezza, non riusciva a comprenderne il senso.

 

Pur tuttavia, l’eccessiva velocità del processo di islamizzazione e le pressioni dei salafiti hanno portato, nei mesi successivi, la società civile ad allentare le aspettative su Ennadha [22]. In questo clima si sono svolte le elezioni del 23 ottobre 2011, atte a stabilire i 217 rappresentanti dei partiti che avrebbero dovuto formare l’assemblea costituente. Oltre a Ennadha, che ottenne 90 seggi, corsero anche il movimento al-ʿArīḍa al-shaʿbiyya li-l-ḥurriyyawa l-ʿadālawa al-tanmiyain (“Petizione popolare per la libertà, la giustizia, e lo sviluppo”) [23], il Cpr (acronimo del francese Congrès pour la République, in arabo al-Muʾtamarminajl al-Jumhūriyya) [24], Ettakatol (acronimo di al-Takattul al-Dīmuqrāṭīminajl al-ʿAmalwa l-Ḥurriyyāt, “Forum democratico per il lavoro e la libertà”) [25], Pdp (acronimo di Parti démocrate progressiste, in arabo al-Ḥizb al-Dīmuqrāṭī al-Taqaddumī) [26], Pdm (Pôle démocratique moderniste) o Al Qtb (acronimo di al-Quṭb al-dīmuqrāṭī al-ḥidāthī) [27], Pcot (Parti communiste desouvriers de Tunisie, in arabo Ḥizb al-‘Ummālash-Shuyū‘īat-Tūnisī) [28], infine una pletora di piccoli partiti e di liste indipendenti, in tutto quasi 1600 liste che hanno disperso un numero incredibile di voti (circa un milione e mezzo su tre milioni di persone che sono andante al voto [29]). L’elemento comune a tutti questi partiti, ma anche il più rilevante, è che la loro pregnanza ruota attorno al carisma del leader più che all’agenda politica, evidenziando la difficoltà a superare le categorie politiche dominanti.

 

Un altro importante dato da tenere in considerazione riguarda il fatto che molti di questi leader appartengono alla classe capitalistica transnazionale e rientrano, dunque, nelle logiche della politica quale portavoce delle ideologie neoliberiste e neocapitaliste.

 

Legata a questa considerazione vi è l’età media delle persone coinvolte nella riorganizzazione politica del paese: sebbene in piazza ci fosse stata una grande concentrazione di giovani, al punto che il discorso pubblico sulla loro presenza era stato centrale nell’idea di ricostruzione, nell’attuale compagine politica l’età media è molto alta, come se questi giovani non fossero riusciti a trovare uno spazio di espressione nella fase successiva, evidenziabile anche la scarsa partecipazione al voto.

Vinte le elezioni del 23 ottobre, i leader di Ennadha, Cpr, Ettakatol – Rāshid Gannūschī, Moncef Marzouki, Mustafa Ben Jafar – si divisero i ruoli istituzionali più importanti: la presidenza dell’assemblea costituente (Ben Jafar), la presidenza della repubblica (Marzouki), il Governo (il segretario di Ennadha, Jbeli, che divenne primo ministro) [30]. La pressione esercitata da Ennadha, però, aveva condizionato la vita sociale del paese e indebolito l’apparato statale anche perché Cpr ed Ettakatol, pur essendo due partiti di matrice laica, non erano riusciti (o non avevano ambito) a bilanciare il potere di Ennadha che, dunque, era l’unica vera forza ufficiale del paese. In questo nuovo assetto politico una voce discordante, capace di coalizzare un cospicuo numero di dissenzienti, andava fatta tacere ed è per siffatto motivo che si consuma, il 6 febbraio 2012, l’omicidio di Shukrī Belʿīd.

La risposta all’assassinio fu unanime: gli abitanti di Tunisi si riversarono per strada sotto l’abitazione dell’avvocato assassinato, poi, e a ruota a anche gli abitanti delle altre città, si recarono nelle varie sedi di Ennadha asserragliandole. È notevole il fatto, appreso successivamente, che molti esponenti importanti del partito avessero trascorso, con le proprie famiglie, la notte precedente in albergo, pronti a darsi alla fuga. D’altronde la città era una polveriera: la gente stava per strada pronta a insorgere ma, proprio il braccio destro di Shukrī Belʿīd, Hammemi, riuscì a intavolare un discorso tale da convincere a convogliare in maniera diversa la rabbia popolare. Una buona strategia fu anche quella adottata dal primo ministro (Jbeli) che, proclamando il lutto nazionale, promettendo la caccia spietata ai responsabili, prendendo le distanze politiche dall’omicidio attribuendone la responsabilità al gesto di un singolo esaltato, arrivò alla conclusione che fosse necessario costituire una coalizione trasversale proponendo un governo tecnico. In tal modo, nei giorni successivi, l’attenzione si spostò dall’omicidio alla formazione di tale governo. Il partito, però, non appoggio Jbeli e, alla fine, si optò per un governo misto: alcune cariche rimasero politiche, altre andarono ai “tecnici”.

 

Comizio di Essebsi, leader di Niida Tounes, foto tratta da   Tunisia Live
Comizio di Essebsi, leader di Niida Tounes

 

Il governo, infatti, era l’espressione della maggioranza all’interno dell’assemblea costituente e questo creava inevitabilmente un conflitto insanabile per gli avversari di Ennadha che, pur rimanendo forte al livello di presa sull’apparato dello stato si indebolì come consenso sociale. Fu anche tale indebolimento a permettere al partito NidāʾTūnus di ritagliarsi subito una frangia così forte di consenso. Essebsi aveva coinvolto Monsen Marzouk, storico leader del movimento studentesco, Taieb Baccouch, ex segretario dell’Ugtt e, successivamente, anche Al Ghiryani, ultimo segretario di Rcd. Ennadha, comprendendo che questo partito avrebbe potuto rappresentare realmente un pericolo per la propria egemonia, tentò di promuovere nei suoi confronti una campagna basata sul fatto che Essebsi aveva aperto anche a soggetti che avevano fatto parte della corte di Ben Alì. Ad aumentare le tensioni contribuì, inoltre, il 18 ottobre, la morte del coordinatore della sezione di Tataouine del nuovo partito, Lotfi Nagdh, durante scontri tra i sostenitori di NidāʾTūnus e i manifestanti vicini a Ennadha. La morte venne presentata dal ministro degli interni come naturale e conseguente a un arresto cardiaco, ma altri rappresentati di partito sostenevano che fosse stato picchiato.

 

Ma il culmine delle tensioni si raggiunge diversi mesi dopo e, precisamente, il 26 luglio 2013 con l’omicidio di Mohamed Brahmi, membro dell’assemblea costituente.

 

Da più parti venne chiesta la sospensione dei lavori dell’assemblea con un sit-in appoggiato dal partito di Essebsi, da forze democratiche e dalle frange della di sinistra che costituirono il Giabhatu al-inradh, fronte che si opponeva fondamentalmente allo strapotere di Ennadha. La troika, però, forte di aver vinto le elezioni, non era disposta a rinunciare al potere e voleva portare avanti i lavori dell’assemblea. Il mondo dell’associazionismo e, in particolare, la Ligue Tunisienne pour la défense des Droits de l’Homme, al-muhamin (l’ordine degli avvocati), Utica (Confindustria tunisina) e Ugtt (sindacato), decisero di fare rete per mediare tra il Giabhatu al-inradh e tra la troika che, a quel punto, decise di dimettersi permettendo la formazione di un governo totalmente tecnico. Ben Jafra decise di interrompere i lavori per la stesura della costituzione che venne continuata dal governo tecnico che, però, continuava a subire forti pressioni del fronte islamista che voleva una costituzione impregnata di dettami religiosi.

La presenza di NidāʾTūnus riuscì a bilanciare le pressioni islamiche ma la costituzione, alla fine, non riuscirà a sintetizzare le varie istanze riuscendo, piuttosto, a giustapporle. Inoltre, tutti i nuovi partiti hanno ereditato la stessa impronta statale e la medesima macchina organizzativa di Bourghiba e Ben Alì. Il fatto che nessuno si presenti veramente come un elemento di rottura implica anche il fatto che i redattori della costituzione hanno scelto, rispetto alle pressioni islamiche, di accogliere soltanto gli aspetti più conformi all’impronta laica della tradizione tunisina. Il 26 gennaio tale costituzione venne, finalmente, varata [31]. A quel punto poté partire la macchina organizzativa delle nuove elezioni e, come già nel 2011, venne nominata una commissione indipendente che avrebbe dovuto garantirne l’indipendenza da qualsiasi pressione esterna. In questa fase, però, ritornarono sulla scena politica molti vecchi personaggi legati al vecchio regime, alcuni dei quali candidandosi addirittura alle presidenziali, sostenendo che, alla luce di quanto avvenuto in questi anni, in particolar modo riferendosi agli omicidi politici, comunque loro avevano garantito in passato più stabilità al paese di quanto non succedesse dal 2011. In realtà il vero scontro è stato tra NidāʾTūnus (85 deputati) ed Ennadha (69 deputati) che, però, ha notevolmente diminuito i propri simpatizzanti classificandosi come secondo partito.

Come per la prima volta l’enorme pletora di piccoli partiti (che speravano di ottenere qualche seggio con il sistema dei residui e, perciò, hanno preferito non coalizzarsi) ha determinato la dispersione di un numero ingente di voti. Malcontento c’è stato tra i simpatizzanti della sinistra moderata che non si sono sentiti rappresentati da nessuna forza. Tutta la campagna elettorale non è stata basata tanto sulla fattività delle proposte del proprio partito o della propria coalizione quanto piuttosto sulla demonizzazione dell’avversario: il fronte islamista invitava gli elettori a non votare per NidāʾTūnus in quanto aveva al proprio interno esponenti della vecchia guardia, mentre NidāʾTūnus esortava gli elettori a non appoggiare un partito che avrebbe costretto gli uomini a portare le barbe lunghe e le donne alla progressiva segregazione.

 

la moglie di Belaid, Besma, durante i funerali del  marito
la moglie di Belaid, Besma, durante i funerali del marito

 

La mancanza della promozione di reali strategie sociali ed economiche ha avuto una grave ripercussione sugli aventi diritto al voto, soprattutto tra quelli più giovani. Cpr (tre parlamentari) ed Etakkatol (un solo parlamentare), hanno pagato il prezzo del servilismo al partito islamista. Il terzo partito per numero di voti, invece, nelle elezioni del 2011 aveva ottenuto un solo seggio: si tratta dell’Al-Ittiḥād Al-Waṭanī Al-Ḥurr (“Unione dei patrioti liberi”) di Slim Rihai, partito di un uomo d’affari la cui ricchezza ha dubbia origine poiché è legato al regime di Gheddafi, i cui figli, attraverso le società di questo giovane magnate, riciclavano denaro. Egli, però, ha agganci economici molto importanti sia in Europa (soprattutto in Francia) sia in diversi paesi arabi. Essendo presidente del Club Africaine, un’importante società calcistica, e avendo speso ingenti somme di denaro nella campagna elettorale, egli è riuscito a convogliare i voti di quanti, in effetti, non avevano una posizione politica chiara.

Infine, il quarto partito è Al giabina al sha’bia (Fronte popolare della Tunisia) con 15 parlamentari. A questi partiti toccherà adesso formare delle colazioni per raggiungere la maggioranza necessaria a governare. Al giabina al sha’bia però non vuole allearsi né con NidāʾTūnus né con islamisti perché ciò comporterebbe un indebolimento interno in quanto la loro campagna si era basata sull’opposizione a entrambi. Ennadha, al contrario, è aperta a qualsiasi ipotesi di coalizione. NidāʾTūnus, invece, ancora non ha una posizione chiara. C’è da sottolineare che NidāʾTūnus ed Ennadha, pur differendo nella loro idea di società, hanno un medesimo progetto economico: l’uno pensa a un “capitalismo in minigonna”, l’altro a un “capitalismo con la barba”. Poiché nessuno raggiunge i numeri necessari a formare il governo, però, un importante gioco potrebbe essere rappresentato dall’opposizione.

 

Questo aspetto non ha avuto un seguito propagandistico e così, in vista anche del ballottaggio alle presidenziali tra Essebsi e Marzouki, le retoriche si misurano più sul dimostrare di non essere come l’avversario li rappresenta che su ipotesi concrete.

 

Essebsi, per esempio, ha iniziato la propria campagna elettorale nei luoghi di Bourghiba, per sottolineare la continuità con il “padre della patria”, rispondendo così alle accuse di aver accolto tra le proprie frange gli ex di Rcd. Uguale strategia aveva adottato Hammemi che, per cercare di superare il binomio comunista-ateo su cui gli avversari avevano fatto leva, ha iniziato la propria campagna al santuario di Sidi Marehz, il santo protettore di Tunisi. Nessuna delle forze presenti nel paese si è concentrata sull’ipotesi di promuovere un modello di governamentalità che fosse capace di guardare alle nuove realtà politiche mondiali, in particolare dei paesi dell’America latina dove si vanno sperimentando interessanti forme di democrazia, preferendo avvinghiarsi al modello europeo. Ci chiediamo se, piuttosto che guardare o agli stati islamici alle potenze postcoloniali europee, non sarebbe potuto essere interessante lavorare per la formazione di un asse mediterraneo che prevedesse un’alleanza da Est a Ovest recuperando, rafforzandone la portata, i propositi della dichiarazione di Barcellona (1995) [32] e l’accordo di Agadir (2004) [33].

 

Nota a piè di pagina

[1] Innescate il 17 dicembre 2010 dal gesto del venditore ambulante Mohamed Bouazizi che si diede fuoco davanti al governatorato di Sidi Bouzid dopo che gli era stata sequestrata la merce. A questo suicidio (anche se la morte coglierà il giovane il 4 gennaio successivo) fece seguito quello di Houcine Neji che si tolse la vita davanti alla folla di Menzel Bouzayane e l’uccisione, da parte della polizia e nella stessa circostanza, di un contestatore. Per una cronistoria degli eventi dal 17 dicembre 2010 al 15 gennaio 2011, giorno in cui, fuggito Ben Alì, il presidente della camera dei deputati divenne capo di stato sino all’indizione di nuove elezioni,rimandiamo a D. Settinieri (a cura di), 2011, Tunisia 2011. Antefatti e testimonianze, con la collaborazione di A. Dridi, Achab – Rivista di Antropologia.
[2] È possibile leggere alcune testimonianze “a caldo” sulla manifestazione da parte di alcuni sostenitori in Settineri, 2011, cit., pp. 45-92
[3] Le proteste sociali e gli scontri avvenuti nel 2008 a Redeyef, nel governatorato di Gafsa, erano stati drammatici eppure l’apparato statale era riuscito a non far trapelare nulla isolando la zona fino alla repressione delle manifestazioni.
[4] Per gli eventi che hanno condotto alla caduta del regime di Ben Alì rimandiamo a Settineri, 2011, cit.
[5] Si tratta della costituzione promulgata nel 1959.
[6] Settineri, 2011, cit., pp. 12 e 39.
[7] Le elezioni politiche per la nomina del primo presidente della repubblica non provvisorio eletto direttamente dai tunisini dopo la caduta del regime di Ben Alì si sono tenute il 24 novembre 2014 e in una prossima data da stabilire ci sarà il ballottaggio tra Marzouki ed Essebsi. I tunisini residenti all’estero hanno votato anche il giorno precedente. Il 26 ottobre si erano tenute, invece, le elezioni legislative. Anche in questa occasione i tunisini residenti all’estero avevano avuto la possibilità di votare già dal 24.
[8] Bourghiba, dopo aver guidato il paese all’indipendenza, ne divenne presidente autocrate dal 1957 al 1987.
[9] Anche per questa circostanza rimandiamo a Settineri, 2011, cit., pp. 39-43 e 70-78.
[10] Sostituito da Hamadi Jebali, segretario di Ennadha, partito vincitore delle elezioni del 2011 per la formazione dell’assemblea costituente e di un governo provvisorio.
[11] Avvocato difensore dei diritti umani e militante della sinistra tunisina già dai tempi dell’università, fu perseguitato, e incarcerato, prima da Bourghiba e poi da Ben Alì per le numerose denunce in nome della violazione dei diritti umani. Nel 2011 divenne membro del Haietu thkik adhaf at-thawra (“Commissione per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione”) e del Haiga al-muhamin (“Consiglio dell’Ordine degli avvocati”). Nello stesso anno fu tra i fondatori del partito Watad (“Patriotici democratici”) che guidò prima all’unificazione con il partito di Hammemi e poi facendo confluire entrambi nel partito Al giabina al sha’bia (“Fronte popolare tunisino”), partito di matrice marxista, panarabista, ecologista. Da avvocato, nel 2012, aveva anche difeso la liberta di espressione dell’ emittente Nessma che aveva trasmesso Persepolis, film d’animazione del 2001 sul fondamentalismo islamico in Iran.
[12] Antica moschea di Tunisi e scuola di giurisprudenza malakita nel cuore della medina di Tunisi.
[13] A. Appadurai, 2014, Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Cortina.
[14] A. Appadurai, 2014, cit., pp. 229-230.
[15] D. Zolo, 2010, Il tramonto della democrazia nell’era della globlizzazione in «Jura Gentium Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale» http://www.juragentium.org
[16] Cfr. M. Diletti, 2009, I think tank. Le fabbriche delle idee in America e in Europa, Il Mulino;
M. Ahmad, S. Nyang, Z. Bukara (a cura di), 2012, Observing the Observer: The State of Islamic Studies in American Universities, Gutenberg press.
[17] H. Zerouky, 2001, Hamas is a creation of Mossad in «Global Outlook» http://globalresearch.ca/articles/ZER403A.html
[18] Cfr. Settineri, 2011, cit., pp. 109-113.
[19] Cfr. http://www.ennahdha.tn/
[20] Questo tipo di proselitismo, basato sull’assistenzialismo, ha permesso agli islamisti di avere un forte consenso popolare in molti paesi, dall’Egitto alla Turchia.
[21] La disoccupazione in Tunisia nel 2011 si aggirava sul 18%; erano disoccupate, dunque, circa ottocentomila persone. Cfr.http://www.indexmundi.com/it/tunisia/tasso_di_disoccupazione.html
[22] In realtà anche i rapporti tra islamisti di Ennadha e salafiti sono stati improntati all’ambiguità: a momenti di alleanza si sono alternati momenti di tensione in cui gli islamisti di Ennadha hanno condannato i salafiti per terrorismo. D’altronde circa tremila tunisini si sono arruolati per il jihad in Siria: molti componenti dello jihad in Libia e in Siria sono salafiti tunisini.
[23] Fondato nel 2011 da Hacmi Hamdi, imprenditore plurimilionario e proprietario di una emittente televisiva (Al Mustakilla, L’indipendente), ex esponente di Ennahdha successivamente schieratosi con Rcd e, infine, trasferitosi a Londra da dove aveva condotto la propria campagna elettorale attraverso Al Mustakilla riuscendo a piazzare 27 deputati; Hamdi, durante il regime di Ben Alì, soprattutto dalla fine degli anni Novanta, utilizzava la sua emittente televisiva per sostenere la politica tunisina all’estero in cambio di concessioni importanti tra cui quella di avere un contratto esclusivo per le campagne pubblicitarie satellitari sul turismo in Tunisia.
[24] Partito clandestino fondato nel 2001 da Moncef Marzouki (lo stesso che dal 13 dicembre 2011 iniziò il mandato di presidente della repubblica), la cui propaganda è rivolta soprattutto alla questione dei diritti umani letti in una sintesi tra pensiero laico e religioso, che ottenne 29 seggi.
[25] Partito socialdemocratico fondato nel 1994 da Mustafa Ben Jafar, ma rimasto clandestino sino al 2001, che ottenne 21 seggi.
[26] Partito legale d’opposizione fondato nel 1983 da Ahmed Najib Chebbi ma sottoposto a costante repressione durante il regime, che ottenne17 seggi sebbene fosse divenuto una delle più grandi forze politiche secolari subito dopo la rivolta.
[27] Coalizione tra Ḥarakat al-Tajdīd (il partito socialista fondato nel 1993 sulle ceneri del vecchio partito comunista), al-Ḥizb al-ishtirākī (partito socialista nato, nel 2006, dalla scissione con il Pcot perché contrario a qualsiasi alleanza con gli islamisti, seppur nella lotta al regime di Ben Alì), al-Ḥizb al-Jumhūrī (partito centrista nato nel 2011 dalla fusione tra progressisti liberali e conservatori), e varie iniziative cittadine 5 seggi.
[28] Fondato da Hamma Hammami uomo che, a causa dell’opposizione a Ben Alì, ha lungamente conosciuto carcere e torture, 3 seggi.
[29] Gli aventi diritto al voto erano, invece, sette milioni. Sono stati molti i giovani che non sono andati a votare delusi dall’assetto che stava prendendo la politica del paese.
[30] L’alleanza fra i tre partiti è stata definita “troika”, in riferimento alla struttura, tipica dei governi comunisti, formata da capo di partito, capo di governo, capo di stato.
[31] La Tunisia diventa un regime misto alla francese: presidenziale con governo nominato dal parlamento e presidente eletto dal popolo come il parlamento.
[32] Costruzione di un partenariato socio-economico dei paesi del Mediterraneo.
[33] Costituzione di un’area di libero scambio.

Cite this article as: Settineri, Daria & Noaman Beji. December 2014. 'Tunisia: c’è mai stata una primavera araba?'. Allegra Lab. https://allegralaboratory.net/tunisia-ce-mai-stata-una-primavera-araba/

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